0.45 ultima corsa. Entrò e sorrise al piccoletto meticoloso e gentile, seduto accanto a lei. Girandole di parole sostenevano le palpebre, la mente galleggiava nello sfinimento senza tregua. Le voci impastate agli odori della pioggia, l’aria calda tra le gambe e la condensa sui vetri suggerivano una gestualità sussurrata. Il motore grattò e l’autobus s’immerse nella nebbia.
Penultima fermata, le porte si chiusero, l’autobus sparì nella notte. Si mosse, i passi che cedevano al sonno la tensione del giorno. Tra lampioni e cemento, dietro un muretto schivo, stava lì: guarda come godo.
(Ottobre 2000)